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Il mensile on -line

Data 25/03/2007
 

Death of a President – Morte di un Presidente

di Maura Morrone

È il 19 ottobre 2007.
Il Presidente degli Stati Uniti George Walker Bush è atteso allo Sheraton Hotel di Chicago a una conferenza di industriali, dove si esprimerà in merito all’economia del paese.

La tensione in città e tra gli uomini della scorta è alta.

Il film inizia con le interviste a quelli che si riveleranno essere i protagonisti involontari di un momento tragico della storia degli Stati Uniti: l’assassinio del loro 43° Presidente.

In Italia il film è doppiato, ma con le voci originali in sottofondo, come si fa con i documentari. Perché di simil-documentario si tratta. In realtà il termine esatto con cui definire il tipo di pellicola è mockumentary (dalla crasi tra to mock-prendere in giro e documentary-documentario). Le interviste sono svolte come se fossero reali, con tanto di nome e ruolo in sovrimpressione sullo schermo.

Si sa che è un film. Che è tutto frutto di fantasia. C’è un avvertimento prima dei titoli di testa e, per chi se lo fosse dimenticato durante la proiezione, anche prima dei titoli di coda.

È un mix di immagini di repertorio, di realtà e di scene realizzate appositamente per il film. Tutto ciò rende quasi vero lo spettacolo a cui si assiste.

IL Presidente George W.Bush viene ucciso dalle pallottole esplose da un cecchino all’uscita dallo Sheraton. Si cerca il colpevole. Tra i manifestanti. Tra i presenti. Finchè si trova l’uomo giusto.

Come negli USA, le polemiche hanno accompagnato anche l’uscita italiana del film. Molte sale infatti si sono rifiutate di proiettarlo.

Vincitore del premio della critica all’ultimo Film Festival di Toronto, Death of a President del regista inglese Gabriel Range, sarebbe dovuto uscire in 100 sale italiane. Di produzione della britannica Channel 4 e distribuito in Italia da Lucky Red, il film esce invece quasi in sordina in sole 30 copie.

L’intero svolgimento del film, diversamente da come viene presentato dal sito ufficiale (www.mortediunpresidente.it), non corre dietro al “cosa sarebbe successo se…”. Il futuro di cui si vuole occupare è brevemente accennato dalla cronaca del frettoloso giuramento a 44° Presidente del vice Dick Cheney, e delle misure da quest’ultimo adottate per far fronte al dilagare degli atti di terrorismo in terra americana. Il Patriot III sarà l’unica attività del nuovo presidente contemplata dal film.

Tutto quello che viene raccontato, dietro alle finte interviste, dietro ai racconti fatti con occhi lucidi e rammarico dal finto staff di Bush, è il malessere di una società che non trova altro da fare che stigmatizzare il “nemico”. Secondo la volontà del Governo, infatti, il “nemico” deve essere mussulmano, di chiara provenienza asiatica. Se poi tra i sospetti c’è un iracheno, allora le attenuanti non si cercano. E il colpevole designato, sarà colpevole più degli altri per il solo fatto di essersi trovato nei paraggi del luogo del crimine.

Lo sliding doors davanti a cui Range pone lo spettatore, non vuole suggerire un futuro che difficilmente si potrà compiere. Proietta il pubblico, invece, in un reale, certo e già deciso presente da cui difficilmente si potrà fuggire.

   
 
   
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